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La Tempesta Vaia e il disastro.
Un reportage fotografico

22 dicembre 2023

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Cosa si prova camminando in mezzo ad un intero bosco piegato dal vento? Quanti passi è lungo un albero, o milioni di alberi, coricati a terra sulle strade, sui sentieri, sui prati? Cosa significa svegliarsi una mattina e non riconoscere il paesaggio che conosci da tutta la vita?

Certi eventi, nella storia delle valli, hanno causato cambiamenti così radicali che saranno ricordati per anni. Viene subito da pensare alle guerre che hanno sconvolto il paesaggio e la popolazione, con le trincee, i fili spinati, la leva, i rastrellamenti, i disboscamenti. Non sono, però, solo gli eventi umani quelli che vanno a incidere sul paesaggio e sul tessuto sociale. Le alluvioni, per esempio, lasciano ferite che impiegano decenni a rimarginarsi, e la cronaca recente ne è la prova. Si possono riportare vari casi nella storia, anche recente, che sono ancora raccontati a voce, attraverso le fotografie, nei documenti. 

Vaia è parte di questa storia, e sarà ricordato come uno di quegli eventi che segna un prima e un dopo. Nel Novembre 2018, venti di scirocco a più di 200km/h hanno sconvolto i boschi delle montagne del Nordest, dalla Lombardia al Friuli. Si possono dare diverse cifre, ma la dimensione di ciò che è accaduto è difficile da comprendere. In una notte sono crollati al suolo più di 16 milioni di abeti, pari a sette volte il prelievo nazionale di legname annuo. 16 milioni di alberi equivalgono a più di 8 milioni di metri cubi di legname, 42’500 ettari di bosco, ovvero 65’000 campi da calcio. Numeri enormi, che trovano paragoni solo nelle grandi tempeste atlantiche del Nord Europa.

Non fu subito chiara l’estensione dei danni, perché molte valli laterali rimasero isolate per giorni. Le strade interrotte o franate furono ricostruite nei mesi e negli anni successivi, nuove strade forestali furono tracciate per andare a raccogliere il legname schiantato. L’urgenza era dettata da vari motivi: uno economico, data l’importanza di questo legno per l’economia locale; uno di sicurezza, perché i versanti spogliati si esponevano al rischio di frane e valanghe; uno ecosistemico, perchè già si temeva che una tale quantità di legno che sarebbe marcita negli anni avrebbe causato la proliferazione del bostrico, un parassita che avrebbe attaccato anche gli alberi sani, causando danni ancora più ingenti. Vaia è stata uno spartiacque: ha cambiato radicalmente il paesaggio e ha dato alle persone la consapevolezza che ciò che si dava per scontato è, in realtà, qualcosa di estremamente fragile. Ha reso ancora più evidente che i cambiamenti climatici, motore di questo evento così estremo, impongono di ripensare il modo in cui si gestiscono, si vivono, si pensano territorio e bosco.

Sono arrivato in uno dei luoghi più colpiti alcuni giorni dopo l’evento, in Val di Fiemme. Erano state appena liberate le strade principali, per permettere i collegamenti tra valli e paesi. Avevo visto alcune immagini in rete, in televisione, solo per pochi giorni, poi più niente. Sentivo la necessità di sapere di più, vedere con i miei occhi ciò che era successo a quei boschi che amavo e che erano lo sfondo di escursioni, storie, leggende, e che sono parte della storia della Valle. Volevo andare oltre le immagini dall’alto, andare nel bosco e in quello che ne rimaneva, capire cosa era successo e cosa succederà. Arrivare in un luogo che conosci e trovarlo stravolto, irriconoscibile, da un giorno all’altro, è qualcosa che ti lascia senza fiato, ti serve tempo per riconoscerlo e per renderti conto di ciò che hai di fronte. 

Osservare il disastro non basta, è necessario approfondire per provare a spiegare. E così sono tornato e ritornato, ho conosciuto boscaioli, tecnici forestali, vivaisti e malgari, che mi hanno accompagnato nelle valli, sui versanti, nelle segherie, camminando nei boschi stravolti, sui tronchi coricati, nella segatura dei cantieri. Il lavoro che ne è uscito è un modo per provare a raccontare, per quanto possibile, tutto questo.

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Nato a Mantova, progettista meccanico di professione, Nicola Bonardi ha studiato Scienze Politiche all’Università di Pavia e attualmente frequenta la Scuola di fotografia e letteratura Jack London. Si interessa di ambiente e di territorio, con un’attenzione particolare alla montagna, ai boschi e alle foreste, che racconta attraverso testi e fotografie.

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